Figlie ribelli, famiglie assassine il dramma dei delitti d’onore tra Italia e Pakistan

Figlie ribelli, famiglie assassine: il dramma dei delitti d’onore tra Italia e Pakistan

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L’orrore che ha colpito il villaggio di Noshera Virkan, in Pakistan, dove due sorelle, Sania e Aneela, sono state uccise a sangue freddo, è solo l’ultimo anello di una catena di tragedie che da anni lega l’Italia a un fenomeno inquietante: l’uccisione, spesso brutale, di giovani donne di origine pakistana da parte delle loro stesse famiglie.

Figlie ribelli, famiglie assassine il dramma dei delitti d’onore tra Italia e Pakistan
Saman Abbas, Hina Saleem, Sana Cheema, Sania e Aneela

Il caso delle sorelle di Gujranwala, su cui Emilia Times ha condotto un’approfondita inchiesta (link), ha fatto riemergere interrogativi scomodi e sconcertanti: perché, tra le comunità di origine straniera in Italia, è soprattutto tra i pakistani che si consumano queste tragedie? Perché, ancora oggi, l’onore familiare viene anteposto alla vita stessa delle figlie?

Una lunga scia di sangue


Sania e Aneela non sono sole. Prima di loro, l’Italia ha pianto Saman Abbas, 18 anni, scomparsa nella primavera del 2021 a Novellara (RE) e ritrovata morta più di un anno dopo. Aveva rifiutato un matrimonio combinato. Per la sua uccisione sono stati processati i genitori, lo zio e un cugino. La ricostruzione degli inquirenti non lascia dubbi, un delitto d’onore, pianificato e portato a termine con freddezza.

E ancora, Sana Cheema, 25 anni, residente a Brescia, uccisa durante un viaggio in Pakistan nel 2018. Anche lei aveva detto no a un matrimonio imposto. Il suo corpo fu sepolto in fretta, con un certificato medico falsificato. Solo la pressione mediatica e diplomatica portò alla riesumazione del cadavere e all’apertura del caso.

Infine, Hina Saleem, la giovane donna di 20 anni massacrata nel 2006 a Sarezzo (BS) e seppellita nel giardino di casa dal padre e da altri parenti. Voleva vivere all’occidentale, amava un ragazzo italiano, lavorava in un ristorante. Per la famiglia, tutto questo era un disonore insopportabile.

Una questione culturale, ma anche geografica


Non si può ignorare un dato sociologico importante, molti pakistani che vivono in Italia provengono da aree rurali del Punjab, zone dove i concetti di “onore” e “controllo familiare” sono ancora profondamente radicati. Diversamente, gran parte dei pakistani che si stabiliscono in altri paesi europei, come Regno Unito, Germania o Scandinavia, proviene da centri urbani come Lahore, Karachi o Islamabad, città dove, pur con i limiti, c’è maggiore esposizione alla cultura dei diritti individuali e all’istruzione femminile.

In Italia, al contrario, la struttura migratoria pakistana ha avuto origine prevalentemente da villaggi isolati, dove le donne raramente lavorano o studiano e dove i matrimoni combinati sono ancora la norma. In questi contesti, quando le figlie crescono in Italia, studiano, si emancipano e scelgono autonomamente con chi vivere, la frattura con la famiglia può diventare insanabile.

Il paradosso dell’integrazione


È proprio l’Italia, paese accogliente e inclusivo, che in qualche modo rende visibile e insostenibile il divario tra le nuove generazioni e i codici arcaici importati dalle terre d’origine. Le ragazze pakistane cresciute in Italia spesso si trovano sospese tra due mondi inconciliabili: da una parte la libertà e i diritti garantiti dalla Costituzione italiana, dall’altra le aspettative oppressive di famiglie che, pur vivendo in Europa, rimangono ancorate a una visione patriarcale e tribale.

Questo conflitto, se non viene affrontato culturalmente e politicamente, rischia di continuare a produrre vittime innocenti.

Quale responsabilità per l’Italia?


Il caso delle due sorelle uccise in Pakistan il 19 maggio 2025, solleva anche un nodo giuridico: se il padre Zulfikar, sospettato di essere coinvolto nell’omicidio, è effettivamente cittadino italiano, sarà lo Stato italiano a dover dimostrare che i diritti umani valgono ovunque, anche fuori dai confini nazionali. Non possiamo permettere che la cittadinanza diventi uno scudo per sfuggire alla giustizia.

La responsabilità non può ricadere solo sulle famiglie coinvolte. Serve un’azione chiara e decisa da parte delle istituzioni italiane, della magistratura, della scuola e anche dei media. Serve il coraggio di denunciare pubblicamente una cultura dell’onore che nulla ha a che vedere con il rispetto, e che spesso si trasforma in controllo, violenza e morte.

La speranza è nella giustizia, Emilia Times continuerà a seguire il caso delle sorelle Sania e Aneela con attenzione e rigore giornalistico. Al momento, le indagini sono ancora in corso. La madre ha confessato, ma le circostanze e le tempistiche dell’omicidio sollevano seri dubbi sul ruolo del padre.

Se verrà confermato che Zulfikar è cittadino italiano, auspichiamo che le autorità italiane prendano una posizione forte e concreta contro di lui, nel rispetto dei principi di giustizia e dei diritti umani.

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