Sono stata in Iran una decina di anni fa. Non era una meta turistica frequente allora. La complessità dei documenti per il visto di ingresso dissuadeva. Alle donne si chiedeva una foto con lo hijab.
Sono arrivata con un volo di una compagnia europea e solo poco prima dell’atterraggio la geografia delle viaggiatrici è mutata. Le iraniane si sono velate per prime. La mia vicina di posto mi ha invitato a coprirmi anch’io. –L’Iran non è l’Europa-, ha detto con tristezza. Ero informata delle regole che avrei dovuto rispettare, ma le sentivo ugualmente irreali. In un attimo sono scomparsi i nostri corpi e i nostri capelli. Non ci si riconosceva più. In questi ultimi mesi di lotte continue e terribilmente coraggiose delle donne iraniane, torno spesso a quel viaggio.
Mi vengono in mente le immagini delle donne che, prendendo in giro le regole loro imposte, ma standoci formalmente dentro indossavano uno striminzito foulard a mo’ di coriandolo su acconciature di capelli vertiginose, riuscivano a fumare tenendo la sigaretta sotto lo hijab, sopra il velo avevano il casco per guidare il motorino. Avevano cellulari moderni, guidavano e acceleravano al semaforo per dare polvere alla macchina guidata da un uomo. Seguivano le tv straniere e una di loro accompagnata dal padre mi chiese di parlare di una serie televisiva in onda in Italia in quel periodo. La seguiva grazie ad un’antenna parabolica nascosta.
Madri mi fermavano per strada perché raccontassi alle figlie che in Italia le loro coetanee non avevano l’imposizione di un velo, che nessuno possedeva le loro vite, che potevano fare alla luce del sole ciò che nel proprio paese facevano di nascosto.
Sento ancora le parole di chi raccontava con orgoglio che le donne frequentavano l’università più dei maschi e che in questo erano incoraggiate da entrambi i genitori perché spesso padri, madri, fratelli subivano, mai rassegnati, una violenza nella quotidianità delle proprie vite. Conoscevano un inglese perfetto e comunicavano clandestinamente col mondo.
Formalmente, raccontavano, la vita delle donne è nelle mani dell’uomo che ne ha la potestà. Per qualunque passo debbano fare ci vuole l’autorizzazione dell’uomo più prossimo alle loro esistenze, ma di fatto i maschi della famiglia erano complici sostenitori nella loro lotta.
La rivoluzione ribolliva da sempre. Mi raccontavano che erano il popolo più sfortunato del mondo caduto in un atroce inganno di libertà con la complicità di un occidente cosiddetto progressista. La Storia si è fatta beffe di loro. Il tentativo di affermarsi come stato democratico con la guida di Mossadeq negli anni cinquanta, fu bloccato da Gran Bretagna e Stati Uniti e il risultato fu che si aprì la strada per il ritorno al potere dei Pahlavi. Un potere corrotto e feroce questo, che diede origine a continue manifestazioni di ribellione fino a sfociare in una rivoluzione che culminò col rientro in Iran nel 1979 dell’ayatollah Khomeyni.
Un incubo finiva ed uno peggiore ne cominciava. La feroce Savak, polizia dello shah, fu sostituita da quella religiosa morale. Era ed è un popolo giovane, istruito, coraggioso ed ironico, in grado di cogliere le assurde ipocrisie di un sistema politico che lo opprime.
Quella che mi apparve durante il mese scarso di permanenza, era una realtà caricaturale. Viaggiavamo all’interno del paese, in pulmini con le tendine chiuse che ci permettevano il capo scoperto fino al posto di blocco, puntualmente segnalato dall’autista nostro complice, le camere d’albergo avevano spesso, una porta interna comunicante, forse per incontri clandestini. Nonostante i bus fossero rigorosamente divisi in posti maschili e femminili, ci raccontarono dell’esistenza di una linea metropolitana promiscua a Teheran, definita il paradiso del pomicio.
Era impossibile non percepire il tremolio del pericolo di crollo del castello di carte messo su da un irreale fanatismo religioso.
I fatti di oggi confermano la potenza di un popolo giovane, antico, colto che lotta con e per le donne. Un popolo che sa che il progresso civile non può lasciare indietro nessuno. I media hanno parlato di proteste e commentano la potenza scenica del taglio dei capelli, ma hanno trascurato di parlare della formazione di queste donne.
Le iraniane sono emancipate, colte. Il 70 per cento di loro intraprendono un percorso di laurea in discipline STEM ( science, technology, engineering and mathematics ). In Italia le donne che seguono questo percorso sono solo il 17 per cento. Un dato che forse ci permette di capire la forza delle rivoluzioni di questi ultimi mesi. Per le donne iraniane che vivono sotto un controllo sociale, culturale, religioso, studiare in queste facoltà non è una strada facile. Il fatto che siano così tante parrebbe confermare il sostegno convinto della famiglia uomini inclusi. C’è un impeto che supera qualunque discorso di genere e sottolinea il desiderio di autonomia ed emancipazione.
Il futuro è un obiettivo raggiungibile e doveroso non solo per le donne.
Il potere sta leggendo lucidamente e disperatamente questi segnali e manda a morte
ragazzi giovani, maschi e spara al seno ed al pube delle donne. E il non arrendersi, il non aver paura sono un dovere assoluto. E’ un mondo nuovo che corre sicuro di superare qualunque ostacolo.
di Grazia Satta