Bambini, donne, uomini. Esseri umani. Tutti sotto il cielo infuocato della Striscia di Gaza, la prigione a cielo aperto più grande del mondo. I numeri esorbitanti dei morti palestinesi riempiono le bacheche dei social e delle pagine di informazione, ma non danno un volto alle persone che hanno perso la vita. Il silenzio occidentale complice di un genocidio insieme ad Israele, ha le mani sporche di sangue e non basterà qualche discorso buonista, fatto in netto ritardo, per pulirsi la coscienza. Le immagini terrificanti degli ospedali bombardati contro ogni legge umana, prima che del diritto internazionale, sono la riprova che questo è un bagno di sangue che non si fermerà finché la macchina sionista non avrà raggiunto i propri scopi.
La retorica odierna ha spesso cercato di mettere a tacere il razzismo e le discriminazioni tirando in ballo la cromaticità. Quante volte abbiamo sentito che il colore della pelle, seppur diverso, contiene un sangue rosso, uguale per tutti. Rosso sangue. Il sangue che oggi è disponibile per chiunque a distanza di un click ma che in molti, fanno finta di non vedere, nascondendosi dietro all’ignoranza o alla paura di esporsi su un conflitto che va avanti da più di settant’anni. E se parliamo di colori con tanta disinvoltura affiancando temi così importanti, parliamone senza paura. Rosso come il sangue dei palestinesi civili uccisi senza remore, bianco come le coperte che avvolgono i cadaveri dei bambini innocenti ed illibati, nero come l’odio israeliano che sputa la sua ferocia su persone che non possono niente. Verde come la speranza di poter riemergere da un incubo.
Dopo il 7 ottobre 2023, i colori son tornati i veri protagonisti – in solidarietà alla Palestina- nei vari post e artwork, soprattutto un frutto che ne racchiude parecchi: il cocomero. È curioso tuttavia capirne l’origine e il significato.
Dopo la guerra dei sei giorni del 1967, Israele prese il controllo della West Bank, della Striscia di Gaza e Gerusalemme Est. Il governo bannó ufficialmente la bandiera palestinese e, qualsiasi uso di essa, come anche di foto vecchie o pubblicità, era severamente vietato e poteva causare arresti o persecuzioni. Nel 1980 le forze di occupazione sioniste chiusero una mostra d’arte nella città di Ramallah, arrestando tre artisti: Nabil Anani, Sliman Mansour, Isam Bader. La loro colpa era stata usare i colori della bandiera palestinese nelle loro opere. Venne intimato agli artisti di far passare al setaccio dall’IDF le loro creazioni in modo da poterle controllare e valutarne l’uso. In una intervista al The National, Mansour ha detto: “Ci hanno detto che oltre alla bandiera palestinese, anche i suoi colori erano proibiti, che se avessimo anche dipinto un cocomero, sarebbe stato confiscato”, e continua dicendo: “L’idea del cocomero come simbolo di resistenza del popolo palestinese è venuta paradossalmente da loro, non da noi”.
Con i colori del cocomero, il verde, il bianco, il rosso e il nero, che ricordano la bandiera della Palestina, questo frutto è simbolo di resilienza e appartenenza nei territori occupati da Israele e nei confronti dell’apartheid. Per aggirare il divieto di esporre la bandiera, i palestinesi iniziarono ad usare fette di cocomero.
Israele ha tolto il ban sull’esposizione della bandiera palestinese solo nel 1993, come parte degli Accordi di Oslo. Il cocomero tuttavia, resta un’immagine forte della resistenza di una popolazione che da anni subisce il fascismo israeliano ed occidentale.
di Sarvish Waheed