India-Pakistan, verità e propaganda sull’attacco in Kashmir cosa sta succedendo a Pahalgam

India-Pakistan, verità e propaganda sull’attacco in Kashmir: cosa sta succedendo a Pahalgam

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Kashmir, tra accuse e propaganda: Islamabad chiede un’inchiesta ONU, Delhi punta il dito

L’attacco avvenuto a fine aprile nella zona turistica di Pahalgam, in Kashmir, ha riportato sotto i riflettori il conflitto tra India e Pakistan e, con esso, le reciproche accuse di disinformazione e propaganda. Secondo alcune analisi critiche provenienti dal mondo pakistano, l’India starebbe sfruttando eventi violenti come questo per alimentare la narrazione del “terrorismo islamico” di matrice pakistana, senza però fornire prove concrete e ignorando possibili falle nella propria sicurezza interna.

Il Kashmir, considerato una delle aree più militarizzate del mondo con oltre 800.000 soldati indiani dispiegati, è da decenni al centro di una disputa territoriale tra India e Pakistan. Ogni episodio di violenza nella regione riapre il dibattito sulle responsabilità e sui metodi comunicativi utilizzati da entrambe le parti.

Le accuse pakistane: “India costruisce una narrazione a senso unico”

Secondo alcuni osservatori, tra cui il giornalista Sajjad Ali, i media statali indiani avrebbero accusato immediatamente il Pakistan dell’attacco di Pahalgam, nonostante l’assenza di immagini di videosorveglianza, prove biometriche o collegamenti diretti con gruppi militanti pakistani. Una reazione che, a detta di molti, rientra in una strategia comunicativa consolidata: associare ogni atto violento alla minaccia esterna per distogliere l’attenzione dai problemi interni, come la tensione sociale e la militarizzazione del Kashmir.

Alcuni casi storici, come il massacro di Chattisinghpora del 2000 o gli attentati di Mumbai nel 2008, vengono citati come esempio di presunti “false flag”, operazioni attribuite a forze esterne ma in seguito messe in discussione da indagini indipendenti. Lo scopo? Rafforzare la narrativa di un’India vittima del terrorismo e giustificare misure più dure a livello interno e internazionale.

Propaganda e politica interna

In questo quadro, la strumentalizzazione del conflitto con il Pakistan diventa un tema ricorrente anche nella politica indiana. Il partito di governo BJP, di orientamento nazionalista indù, viene accusato di alimentare sentimenti anti-musulmani e anti-pakistani per rafforzare il consenso elettorale, soprattutto in prossimità di consultazioni politiche.

La risposta di Islamabad

Di fronte alle accuse, il governo pakistano ha adottato un tono più moderato, chiedendo un’inchiesta indipendente e trasparente, magari con il coinvolgimento delle Nazioni Unite. Il Primo Ministro Shehbaz Sharif ha ribadito la disponibilità del Paese a collaborare per chiarire l’accaduto, definendo “senza fondamento” le accuse indiane. Anche l’ex Ministro degli Esteri Bilawal Bhutto Zardari ha proposto una mediazione multilaterale, alternativa alla dialettica di scontro.

Intanto, il Segretario Generale dell’ONU António Guterres ha invitato entrambi i Paesi alla calma e al rispetto reciproco, per evitare un’escalation che potrebbe compromettere la stabilità dell’intera regione.

Quale ruolo per i media?

Un aspetto rilevante riguarda il ruolo dei media, sia in India che in Pakistan. Mentre quelli indiani vengono accusati di sensazionalismo e propaganda statale, la stampa pakistana viene criticata per una posizione troppo difensiva. Secondo alcuni analisti, servirebbe un’informazione più proattiva, capace di documentare e diffondere violazioni dei diritti umani nel Kashmir occupato, collaborando anche con giornalisti internazionali.

Solo così, con un’informazione trasparente e verificabile, si potrà davvero affrontare il cuore del problema: una popolazione civile intrappolata da decenni tra due Stati in conflitto, spesso privata di diritti fondamentali e soggetta a strumentalizzazioni politiche e mediatiche.

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