Il nuovo slogan “Si vis laborem para bellum” Lo Stato che riduce all’osso gli investimenti per la cultura e tradisce il futuro dei giovani

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Leggo con disappunto dalla rivista online Orizzonte Scuola che: – Alla base militare USA-NATO di Sigonella, nel territorio catanese, inizierà un percorso di competenze trasversali e per l’orientamento a cui parteciperanno 7 istituti scolastici… si tratta di un progetto rivolto a 350 studenti…

I Romani dicevano Si vis pacem para bellum, un pacifista direbbe Si vis pacem para pacem e senza dubbio avrebbe ragione il nostro disarmato pacifista.

In uno Stato che riduce all’osso gli investimenti per la cultura e tradisce il futuro dei giovani, dove il ministero della Pubblica Istruzione ha perso per strada l’aggettivo Pubblica ed ora si chiama Ministero dell’Istruzione e del Merito e crea accordi col Ministero della Difesa, vale il nuovo slogan: Si vis laborem para bellum.

Scuola: Leggo e riporto dall’Enciclopedia Treccani: Termine derivante dal lat. schŏla (dal gr. scholé), che in origine significava (come otium per i latini) tempo libero, piacevole uso delle proprie disposizioni intellettuali, indipendentemente da ogni bisogno o scopo pratico, e più tardi il luogo dove si attende allo studio, accezione quest’ultima nella quale è tuttora in uso.

Definizione che non ha niente a che vedere con lo spirito delle convenzioni che si sono stipulate tra scuola ed aeronautica che prevedono la realizzazione di percorsi scuola – lavoro nei mesi di marzo, aprile e maggio del 2023. Praticamente fra un paio di settimane.

Le classi coinvolte in questo fumoso e a volte mortale percorso, sono le ultime tre delle superiori e per quanto riguarda le ore da spendere sono 150 annuali per gli istituti tecnici statali, quelli che aderiscono al progetto. Quattro su sette sono di indirizzo aeronautico.

I ragazzi iscritti ad un terzo anno di superiori, se in regola con gli studi, hanno dai 16 ai 17 anni anni e sono in una fase di formazione fisica e psicologica molto delicata. Possono lasciarsi influenzare, esaltare e perché no, anche inquadrare in un’ubbidienza gerarchica, lontana dal senso critico, propria degli ambienti militari sotto il comando di un pilota colonnello.

La scuola ha il dovere di istruire educando e per fare ciò dovrebbe accompagnare gli studenti nei percorsi da loro scelti, in base alle tendenze di ciascuno, accompagnandoli nello sviluppo della propria consapevolezza.

Non credo che un ambiente militare come quello di una base NATO possa essere di grande aiuto nella crescita morale degli studenti.

Credo piuttosto che un un contesto NATO, militare e super tecnologico per quanto riguarda materiale bellico, scandito da decisioni dall’alto e ubbidienza piramidale, sia pericoloso. Il senso critico di ciascuno oltre che non richiesto è considerato una sfrontatezza e gli adolescenti coinvolti si possono, di contro, esaltare in modo adrenalinico. Il rischio di confusione tra gioco e realtà è alto.

A volte nei periodi di alternanza scuola-lavoro si stabilisce una sorta di fidelizzazione che continua con stage estivi, con la continuità nei due anni successivi, fino a concludersi, anche se in modo sporadico, con l’assunzione lavorativa

Sicilia, sud, disoccupazione, svolte politiche a destra. In tempi di guerra, di nuove esaltazioni di idea di patria, nel continuo ripetere la parola nemici e l’espressione “noi siamo quelli che abbiamo ragione e siamo gli eroi”, la formazione in una base NATO promette radiosi orizzonti. Fare la guerra è cosa buona e giusta e la speranza occupazionale per tanti studenti è conseguente.

Nella guerra in corso tra Ucraina e Russia i media si sono sbizzarriti in una narrazione spesso scandalosamente inneggiante alla divisione tra buoni e cattivi. Hanno dimenticato di descrivere quale è la realtà dei soldati, dell’una e dell’altra parte, che si sono trovati su un fronte inventato da strani giochi indecifrabili.

Ai pacifisti contrari all’invio armi si chiede: Voi cosa fareste? Li lascereste morire? e la risposta si potrebbe trovare solo nel tempo, nell’educazione, nella scuola. Non in una scuola come quella di oggi, che verifica la cultura con quiz vero o falso e che non conosce Gandhi, Don Milani, Langer e tanti altri.

Una risposta esemplare, senza esitazioni, arriva invece dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio Giovanbattista Fazzolari che propone un progetto di insegnamento del tiro a segno nelle scuole, che possa formare atleti olimpionici, e tiratori scelti sempre utili in paesi non democratici e tantomeno civili.

Finché c’è guerra c’è speran

di Grazia Satta

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