L’informazione asservita come Modi ha trasformato i media indiani in armi di propaganda

Media indiani e fake news: come la propaganda ha alimentato la tensione con il Pakistan

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Negli ultimi giorni, l’informazione mainstream in India ha mostrato il suo volto più inquietante: non solo ha diffuso notizie false e allarmistiche, ma ha anche contribuito a creare un clima di isteria collettiva che ha rischiato di portare la regione sull’orlo di un conflitto aperto.

Tutto è iniziato il 7 maggio, quando i media indiani hanno lanciato un’allarmante copertura su presunti attacchi missilistici da parte del Pakistan su 15 località, comprese aree nel Jammu e Kashmir occupato e nel Punjab indiano. Tuttavia, il Pakistan ha negato ogni operazione militare, e il portavoce dell’esercito pakistano ha definito l’intera vicenda una “difesa fantasma” da parte dell’India, tesa solo a seminare panico interno. I canali e i social pakistani, però, sono bloccati in India: una realtà alternativa è tutto ciò che il pubblico può conoscere.

L’informazione asservita come Modi ha trasformato i media indiani in armi di propaganda
L’informazione asservita come Modi ha trasformato i media indiani in armi di propaganda

Ma l’apice dell’assurdo si è raggiunto la sera successiva. Le principali emittenti indiane hanno annunciato presunte “vittorie” militari su larga scala: dal porto di Karachi distrutto all’avanzata delle truppe indiane su Lahore e Quetta, fino all’arresto del capo dell’esercito pakistano e la caduta di Islamabad. Tutte notizie inventate. Nessuna conferma, nessuna prova. Le immagini di normalità in Pakistan circolavano comunque sui social, in netto contrasto con la narrativa urlata delle tv indiane.

Questa valanga di disinformazione ha preso il nome di “Operazione Sindoor”, un’azione militare costruita su valutazioni errate e sull’arroganza, nella convinzione che il Pakistan fosse ormai al collasso. Tuttavia, quando il Pakistan ha realmente risposto con un attacco mirato su 26 obiettivi militari in India (confermato anche da fonti indiane), la realtà ha smentito ogni illusione. Le voci critiche indiane hanno parlato di una “sbornia mediatica” collettiva.

L’involuzione dei media indiani

Negli ultimi dieci anni, sotto il governo di Narendra Modi, lo spazio per il giornalismo indipendente in India si è ristretto drasticamente. Alcuni canali, come NDTV, sono stati costretti a vendere. Altri sono stati emarginati o messi sotto pressione. È nato così il termine Godi Media, “media da grembo”, servili e allineati al potere, simbolo della totale sudditanza di molte testate rispetto alla propaganda dell’Hindutva, l’ideologia nazionalista hindu.

Le voci indipendenti, come il giornalista Siddharth Varadarajan o l’analista Pravin Sawhney, vengono censurate o addirittura bloccate. Anche The Wire, noto sito di giornalismo investigativo, è stato oscurato. Persino ex funzionari dei servizi segreti che hanno provato a dare un’analisi più equilibrata, come Rana Banerji, sono stati ignorati.

Il governo indiano ha oscurato oltre 8.000 siti e profili social, inclusi quelli di media internazionali come Xinhua (Cina), TRT World (Turchia) e perfino testate pakistane. Chiunque osi mettere in discussione la narrazione ufficiale rischia attacchi, insulti o minacce da parte di troll pro-Hindutva.

Un rischio per tutti

Il problema non è solo la disinformazione, ma anche il clima di esaltazione bellica e razzista che sta diventando la norma nel dibattito pubblico. Un esempio emblematico è l’ex maggiore Gaurav Arya, che ha candidamente ammesso di ispirarsi alla propaganda nazista di Goebbels per giustificare la diffusione di notizie false. In tv, ha più volte invocato la distruzione totale del Pakistan.

Ma vivere in una “bolla di delirio collettivo” ha conseguenze gravi: impedisce una valutazione razionale delle crisi e spinge i governi a scelte disastrose. Questa narrazione unilaterale ha finito per danneggiare anche l’India stessa: ha rafforzato il fronte interno pakistano, riacceso l’attenzione internazionale sulla questione del Kashmir, e messo l’India in una posizione difficile rispetto alla crescente alleanza strategica tra Cina e Pakistan.

Il giornalismo libero è fondamentale in ogni democrazia. Quando si trasforma in megafono del potere, il rischio è altissimo: non solo si disinforma la popolazione, ma si minano la pace e la stabilità. La vicenda della “Operazione Sindoor” è un monito, non solo per l’India, ma anche per i paesi vicini: vivere in una realtà costruita su propaganda e menzogne può portare a un punto di non ritorno.

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