Una tristezza infinita

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Il 31 maggio muore Daniele Lugli

Ferrara piange!

Sì, piange tutta Ferrara nessuno escluso. Nessuno infatti, poteva fare a meno di ascoltarlo in silenzio Daniele, quando parlava. Le sue parole non suscitavano conflitti, ma una grande voglia di saperne di più su pace, lotta e Nonviolenza. Daniele era tantissime cose. Un ricamo filigranato dei pensieri e degli esempi più belli che si potessero esprimere e ascoltare.

Era nato a Suzzara (Mantova) nel 1941, un ragazzo da molti anni. Uno di quei personaggi che aveva in tasca, pronto sempre a raccontarli agli altri, soprattutto ai giovani, gli avvenimenti più importanti dell’Italia e non solo, dal secondo dopo guerra ad oggi.  Amico di Aldo Capitini col quale collabora nella costituzione del Movimento Nonviolento di cui sarà nella segreteria dal 1997.  Con Pietro Pinna è promotore della prima legge sull’obiezione di coscienza. Un politico puro che ha sempre avuto chiara la posizione di un politico: il bene di tutti nel  rispetto di tutti in un continuo divenire. Un funzionario pubblico, un docente, un sindacalista, il Difensore Civico della regione Emilia Romagna dal 2008 al 2013. Presente sempre quando si parlava di diritti, pace, Nonviolenta attiva, difesa dell’ambiente.

Perdiamo un punto di riferimento importante e siamo smarriti. Daniele instradava i suoi interlocutori nella via del dubbio.  Era un pacato e mite dubbio ambulante. Con lui non c’era mai la certezza di una risposta, ma una strada lastricata da punti interrogativi. La risposta a tanti perché era il dubbio stesso.  -Non lo so-, rispondeva quando gli si chiedeva un suo parere sui mali del mondo, le guerre le incoerenze, i disastri ambientali, la mancanza di rispetto per i diritti.  -Non lo so-

Quel -Non lo so- avvolgeva e trascinava in tanti altri dubbi ancora ed apriva alla consapevolezza ed all’analisi di tanti errori che forse si sarebbero potuti evitare, ma anche no. La sua era la maieutica del dubbio. 

Non aiutava nessuno alla ricerca di risposte inesistenti, ma sgranava un rosario di opportunità di soluzioni arricchito sempre dalla spiegazione etimologica delle parole chiave presenti nei concetti stessi. 

Già, le parole parlano e ci aiutano a scovare semi di verità nascoste.

Venerdì 23 maggio ha presentato nella Biblioteca Popolare Giardino il libro Disarmati di RIccardo Bottazzo nel quale c’è una sua intervista che spiega il suo pensiero  nonviolento sempre alla ricerca di un perfezionamento. 

Si definisce “amico degli amici dei nonviolenti…non dite che siete nonviolenti o vi troveranno mille difetti”. 

Un’intervista che ci racconta tante cose.

Racconta che nel 2000, su spinta di Pietro Pinna, organizzò una marcia Perugia-Assisi definita eretica anche da molte associazioni cattoliche e pacifiste perché divisiva.

“SI vis pacem para bellum – no – Si vis pacem para pacem” ed a questo proposito lo slogan scelto era “mai più guerre, mai più eserciti”…

Fu una marcia molto ridotta rispetto agli altri anni che, nello stile insegnato da Capitini, non aveva innescato polemiche inutili, ma aveva aggiunto qualche piccola novità  all’evento”.

Spiega che, sempre secondo Capitini, il nonviolento è una persona insonne, convinta dell’importanza della novità nel percorso per la costruzione di una società più giusta.

Racconta l’iter della battaglia per la legge sull’obiezione di coscienza che ebbe Pietro Pinna, primo obiettore di coscienza per motivi politici in Italia. 

Cita una frase di  Pietro Pinna: “ Non sono Ronald Reagan o Nikita Krusciof a fare la guerra, siamo noi che glielo permettiamo. Quello che dobbiamo fare occupare le caserme, fare sabotaggi. L’esercito va colpito nella sua essenza”.  

Alla domanda sulla definizione di nonviolenza risponde:

“É l’idea che c’è sempre qualcosa da fare. Capitini diceva che la nonviolenza è apertura, resistenza alla libertà e allo sviluppo degli esseri.  E bada bene che quando diceva “esseri” non si fermava agli umani.  Nel momento in cui l’Italia fascista conquistava il suo impero, lui non potendo fare altro, aveva scelto di diventare vegetariano.

E se vivessi in un paese confinante con una nazione retta da un regime dittatoriale, guerrafondaio e sanguinario, vorresti avere un esercito a tua difesa o no?

“Fammi pensare…Credo che preferirei non avere un esercito poiché significherebbe che nel mio Paese ci sia stato un processo culturale di abolizione dell’esercito”.

Grazie caro Daniele

di Grazia Satta

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