Russia: perché migliaia di cittadini stanno tornando dopo l’esilio per la guerra in Ucraina
Dopo l’invasione russa dell’Ucraina nel febbraio 2022, centinaia di migliaia di cittadini russi hanno lasciato il paese per evitare la leva militare, il clima politico sempre più oppressivo o semplicemente in cerca di una vita più sicura altrove. Ma oggi, una parte di loro sta tornando, spinta da motivi economici, familiari o dalla difficoltà di costruirsi una nuova vita all’estero.
Le testimonianze raccolte da The Moscow Times rivelano il lato più intimo di questa migrazione di ritorno: le paure, le frustrazioni e le contraddizioni nel tornare in un Paese che non è più quello lasciato.

Alexei, 29 anni – da Mosca a Istanbul, e ritorno
Quando il Cremlino annunciò la mobilitazione nell’autunno 2022, Alexei prese un volo per la Turchia nel panico, senza un piano preciso. Lì si trovò subito a fare i conti con una realtà complicata: affitti alle stelle, contratti non registrati e un permesso di soggiorno che non arrivava. Dopo mesi di spese e stress, il visto fu negato. Di fronte all’alternativa tra illegalità, un nuovo esilio o il rientro, decise di tornare a Mosca.
Oggi è ancora alla ricerca di un modo per lasciare nuovamente la Russia, ma con una consapevolezza diversa: “Emigrare non è solo prendere un aereo. Senza un piano, rischi di finire senza niente”.
Anna, 41 anni – da San Pietroburgo a Gerusalemme e ritorno
Con la guerra appena scoppiata, Anna e la sua famiglia partirono per Israele, dove stavano richiedendo la cittadinanza tramite parentela ebraica. Il marito riuscì a mantenere il suo lavoro per una multinazionale farmaceutica, mentre lei mise in pausa il suo bar a San Pietroburgo. Le figlie, piccole, faticarono ad ambientarsi.
Poi arrivò il 7 ottobre 2023 e l’attacco di Hamas. “Correre ogni giorno al rifugio antiaereo con due bambine ti cambia la vita”, racconta Anna. Quando il marito perse il lavoro e la situazione divenne insostenibile, decisero di tornare in Russia. Oggi sono tornati al lavoro, le figlie frequentano una scuola privata, ma la sensazione è straniante: “C’è paura nell’aria. Abbiamo tagliato i ponti con chi sostiene il regime, viviamo in una bolla”.
Sergei, 40 anni – da Nizhny Novgorod a Erevan e ritorno
Sergei lasciò la Russia con la moglie nell’ottobre 2022, senza risparmi né certezze. Prima la Turchia, dove il permesso di soggiorno fu negato senza spiegazioni, poi l’Armenia. Sembrava la soluzione ideale: stessa lingua, stessa cultura, ampia comunità russa. Ma il costo della vita salì rapidamente, le carte di credito russe furono bloccate e il conflitto nel Nagorno-Karabakh fece crollare il senso di sicurezza.
“Tornare sembrava una sconfitta, ma con il tempo ho capito che era solo un altro passo. Non sono arruolabile e la vita fuori dalla Russia era diventata impossibile”. Ora Sergei è tornato a lavorare e risparmia. Non esclude un nuovo espatrio, ma nel frattempo vuole essere presente “quando il regime cadrà”.
Il ritorno tra adattamento e resistenza silenziosa
Molti di questi rimpatri non sono dettati da una scelta convinta, ma da condizioni pratiche insostenibili all’estero: burocrazia, costo della vita, difficoltà a integrarsi. Tuttavia, tornare in Russia non equivale a un ritorno alla normalità. Chi torna spesso sceglie il silenzio, l’autocensura, o si rifugia in piccole comunità di pensiero critico.
Questi “ritornati” rappresentano una nuova fascia grigia della società russa, né dissidenti in fuga, né patrioti convinti, ma persone sospese tra il bisogno di sopravvivere e il rifiuto di accettare passivamente la realtà del loro Paese.