“Con l’Ru486 si abortisce e si tira lo sciacquone”

“Con l’Ru486 si abortisce e si tira lo sciacquone”

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Queste sono le parole a forte impatto visivo, di Priamo Bocchi, consigliere regionale, di professione mediatore caseario, pronunciate dai banchi del consiglio regionale dell’Emilia Romagna.

E questa è il commento di Maria Cariati insegnante ed esponente di Prolife:

“Le parole di Priamo Bocchi all’Assemblea legislativa dell’Emilia Romagna sulla RU486, mi riportano alla mente la fiaba I vestiti nuovi dell’imperatore, dove Bocchi è appunto il bambino, l’unico che esclama, davanti all’evidenza, che il re è nudo.

Immediati nei giorni scorsi sono stati i commenti e le reazioni di ogni genere alle sue parole, che hanno inondato le pagine dei giornali, tra le quali ne cito alcune:

  • le parole pronunciate sono una offesa alla dignità delle donne
  • un insulto vergognoso e disumano
  • un segno di cinismo e ignoranza
  • bestialità offensive proclamate in maniera barbara e violenta
  • violenza sarebbe impedire l’accesso ad aborto libero.

E così via.

“Con l’Ru486 si abortisce e si tira lo sciacquone”

In fondo l’Onorevole Bocchi ha semplicemente dichiarato la verità e cioè che l’embrione è un essere umano e che con la RU486 questo embrione viene eliminato con lo scarico.

A tutti quelli che dichiarano l’embrione “Prodotto del Concepimento” io chiedo, voi prima di diventare dei feti, cosa eravate, dei polli?

Per giustificarsi poi, per tanta veemenza, qualcuno altro ha anche affermato che con l’aborto farmacologico da effettuare, nella sua seconda parte a casa, la Regione ha solo applicato le linee di indirizzo del Ministero della Salute: chi attacca quella scelta attacca lo stato e la scienza, questa è una battaglia di civiltà!

Questo è il punto: se la scienza consentisse, un giorno di vendere i poveri resti dell’embrione così espulso oppure di mangiarli, voi lo fareste?

A me pare piuttosto che la parola Donna abbinata a Civiltà sia usata ultimamente sempre più per giustificare qualsiasi obbrobrio contro la vita e la dignità umana, per abbattere ogni residuo di ordine e limite morale in nome del caos.

Aprite gli occhi.
Cordialmente.

Ho letto attentamente la lettera della signora Maria Cariati a proposito dell’intervento di Priamo Bocchi all’Assemblea legislativa dell’Emilia Romagna sulla RU486 e francamente non riesco a trovarne il senso.

Cominciamo con la citazione della fiaba I vestiti nuovi dell’imperatore dove appunto Bocchi sarebbe il bambino che punta il dito sul re nudo al quale avevano fatto credere di avere una bellissima veste nuova: ma chi è il re? La donna? E dove sarebbe l’inganno? La possibilità di abortire?

Ci si attorciglia sulle parole embrione e feto e ancora una domanda ad effetto della Cariati: “…prima di diventare dei feti, cosa eravate, dei polli?”
La risposta giusta sarebbe: embrioni. E prima ancora eravamo un’idea, un desiderio o una paura, chissà!

È molto difficile definire un embrione ed altrettanto lo è definire un feto.

Tecnicamente:

“L’embrione è un’entità biologica che ha inizio con la fecondazione di un ovocito (gamete femminile) da parte dello spermatozoo (gamete maschile). Il processo di fecondazione si attua con una sequenza coordinata di eventi, che ha luogo nella tuba uterina al momento del contatto tra i due gameti per portare alla formazione di una unità biologica distinta e nuova, chiamata inizialmente zigote, con un corredo cromosomico completo costituito, nell’uomo, da 23 coppie di cromosomi”.

Secondo la Treccani, si definisce:

“Feto (dal latino fetus, formato dalla stessa radice di fecundus e femina) il prodotto del concepimento dei Mammiferi dalla comparsa dei caratteri propri della specie al momento del parto. Nella specie umana tali caratteri compaiono al 3° mese di gestazione, quando termina la fase embrionale dello sviluppo intrauterino (v. embrione) e inizia il periodo fetale, nel quale gli abbozzi di tutti gli organi e apparati formatisi nel periodo embrionale si accrescono e maturano”.

Queste sono le definizioni scientifiche che stabiliscono i limiti di determinate caratteristiche di sviluppo misurabili in base al tempo trascorso dalla fecondazione.

È chiaro che per quanto riguarda la definizione intrisa di affetto, speranza, tenerezza che può avere una mamma, un padre, una coppia che desiderano un figlio le cose cambiano notevolmente. Allora si parla di piccolo, tenero e tutte le più belle parole per definire ciò che è ancora frutto dell’immaginazione e del desiderio.

Nessuna donna ha mai detto che l’aborto è la soluzione ai suoi problemi relativi ad una maternità indesiderata e tante infatti non abortiscono.

L’aborto è un dramma e nessuna donna vi ricorre a cuor leggero o, peggio ancora, come fosse un anticoncezionale.

Consiglierei al signor Bocchi ed alla signora Cariati di ripercorrere anche senza troppi sforzi di approfondimento la storia dell’emancipazione femminile in Italia.

Troverà delle notizie esilaranti, altro che I vestiti nuovi dell’imperatore!

L’aborto c’è sempre stato e la frequenza delle donne che vi hanno ricorso, dopo la legge 194, è diminuita.

Prima che si potesse ricorrere all’interruzione assistita si ricorreva alle mammane, a volte ostetriche che agivano nella clandestinità, a medici compiacenti che si facevano pagare in nero.

Il metodo più creativo era il fai da te col ferro da lana conficcato nell’utero. Morire in queste circostanze era facile.

L’umiliazione, il senso di clandestinità, la vergogna e l’esclusione erano la norma per tutte.

Anche portare a termine una gravidanza fuori dal matrimonio non era un affare semplice.

Le mamme single si chiamavano spesso puttane e il figlio veniva registrato all’anagrafe come N.N. dal latino Non Notus, figlio di padre ignoto e nessuna rivendicazione possibile di paternità prima dell’analisi sul DNA.

Le donne più abbienti andavano all’estero ed il problema era risolto.
L’uomo la faceva sempre franca.

Nei non lontanissimi anni sessanta la conoscenza del proprio corpo era veramente debole e ancora oggi le lacune sull’argomento sono profonde come voragini.

Gentile signora Cariati, forse Priamo Bocchi, prima di parlare del non onorevole travaso nel water di un embrione umano avrebbe dovuto chiedere e chiedersi quale ancora sia l’origine di tanta ignoranza.

Ma né a Bocchi né a lei, così intrisi di un cattolicesimo di condanna, sfugge la responsabilità di una così grave mancanza.

Conoscere il corpo umano è scienza; sapere come funziona il proprio corpo che in adolescenza è capace di generare figli è scienza; saper leggere i propri impulsi durante quelle tempeste ormonali tanto frequenti in quel periodo è scienza; riconoscere che i sentimenti di cui un adolescente sono esplosivi e questa esplosività è conseguenza di cambiamenti ormonali del corpo e non del diavolo che ci tenta vincendo la lotta contro l’angelo custode è scienza.

La scuola avrebbe il compito, all’interno di materie come scienze biologiche ed educazione civica, di fornire i ragazzi degli strumenti per avere una cassetta degli attrezzi contro il panico della solitudine di fronte a scelte gravi per chiunque a qualunque età.

Ma noi preferiamo la lotta tra il bene e il male e ignoriamo scelte educative più mature e responsabili.

Moralismo, populismo e ignoranza che escludono dal discorso il coinvolgimento maschile.

Altre riflessioni si dovrebbero fare per quanto riguarda le donne adulte che ricorrono all’aborto, ma dovremmo farlo entrando in punta di piedi nei drammi che affrontano, diversi ed egualmente drammatici.

La parola “donna” sta tornando tristemente ad essere abbinata alla paura del proprio corpo, alla incapacità di rispetto di tanti uomini.

E la prova sono i femminicidi sempre più frequenti ed efferati.

Sembrerebbe che l’immoralità più grande nell’assunzione della RU486 stia nel fatto che la donna non subisce una sofferenza fisica.

D’altronde la donna deve soffrire, altrimenti che donna sarebbe?

La morale, gentile signora Cariati, non c’entra ed il caos è tale e fa paura quando non lo sappiamo comprendere e gestire.

Chiamiamolo con l’espressione giusta: progresso nella consapevolezza dei diritti.

di Grazia Satta

ET.

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