Fare la scuola coi fichi secchi

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“Fare la scuola coi fichi secchi”. Ovvero pensare di risolvere i problemi della scuola senza investire risorse economiche.

Si parla tanto di bullismo e inclusione in un momento storico in cui i ragazzi manifestano un disagio profondo con episodi di aggressività sia verso se stessi che nei confronti di coetanei più deboli.

A Portomaggiore nel ferrarese è successa qualcosa su cui riflettere.

La cittadina supera di poco i diecimila abitanti. Dalla fine degli anni novanta si sono stabiliti molti abitanti stranieri, soprattutto pakistani. 

Dopo le prime forti resistenze ad accettare questi nuovi concittadini, è stata istituita una Consulta Comunale per l’Integrazione; si sono coinvolte in progetti le scuole di ogni ordine e grado e, piano piano, la situazione è migliorata. Si finanziavano progetti per l’insegnamento della lingua italiana per adulti e di formazione professionale per le donne. Per strada ci si salutava e a scuola era finalmente crollato il muro divisorio fra i banchi: stranieri da una parte e italiani dall’altra.

Sono stati anni in cui si investivano risorse economiche da parte dello Stato e del Comune per creare opportunità di dialogo dentro e fuori la scuola e tutto ciò dava sicuramente dei frutti.

Con la crisi economica e una brusca virata politica a destra, le cose sono cambiate.

Le scuole hanno subito tanti tagli da parte del governo, gli alunni per classe sono pericolosamente aumentati, la migrazione non è più stata oggetto di attenzione e si è dato per scontato che le cose avrebbero avuto un assestamento naturale. 

I presidi saliti al rango di dirigenti sono sempre più manager e sempre meno pedagoghi. 

Per questi novelli dirigenti erano molto importanti i numeri. 

Da allora la faccenda funziona più o meno così: se non ci sono problemi evidenti la scuola è una buona scuola e raccoglie un discreto numero di iscritti, al contrario, se se na parla perché i problemi emergono, si crea l’idea del ghetto, gli iscritti diminuiscono e anche i premi di rendimento per chi gestisce questa strana azienda.

Le scuole che spendono meno per progetti vari e che non palesano problemi al proprio interno sono, secondo una lettura superficiale, le migliori. 

Si disinveste, si tace, si subisce e magari si ringrazia se gli anni scolastici non traumatizzano gli studenti. Sul fatto che siano impreparati e un po’ nevrotici ci si mette una pietra sopra 

L’importante è scivolare in avanti in un futuro cieco.

Parcheggiamoli o promuoviamoli, l’importante è farlo in silenzio.

A inizio di quest’ultimo anno scolastico in una prima classe delle medie un ragazzo, particolarmente incontenibile e inconsapevole della propria forza (chiamarlo bullo non ha senso), ha preso di mira un suo compagno più giovane di un paio d’anni e sicuramente più fragile fisicamente. Oltre ciò avrebbe fotografato delle compagne e con l’aiuto dei nuovi programmi di intelligenza artificiale, avrebbe creato immagini pornografiche che ha diffuso.

I genitori delle vittime sono intervenuti con segnalazioni e denunce a chi di dovere.

Nel frattempo sono trascorsi mesi di silenzio da parte della scuola e di attesa di risposte da parte dei genitori.

Il 19 aprile la situazione è precipitata. Durante l’ora di lezione di matematica il ragazzo più giovane spinto violentemente dal più vecchio contro il bordo del banco, è finito in ospedale con cinque punti di sutura e un trauma cranico minore. 

L’insegnante è stato costretto a chiamare il 118 ed il 112. 

I genitori della vittima hanno denunciato l’accaduto, ma qualcosa nella loro fiducia si era incrinata. 

Forse, se la scuola fosse intervenuta diversamente e prima, non si sarebbe arrivati fino a questo punto.

Il ragazzo bullo, attualmente ancora in prima media, è stato già bocciato due volte. 

Il divario d’età con i compagni è di due anni e nella scuola media questa differenza conta molto. 

É pakistano, i genitori non parlano bene l’italiano e spesso le comunicazioni scuola famiglia potrebbero non funzionare.

La scuola deve prendere atto di questi problemi per non lasciare indietro nessuno.

Il ragazzo ferito ed impaurito ha avuto difficoltà a rientrare in classe i giorni successivi l’incidente, i genitori si sono sentiti abbandonati e i compagni di classe hanno reagito, dimostrando la loro solidarietà,0 facendo una giornata di sciopero e sedendosi a gambe incrociate davanti ai cancelli della scuola.

Le successive mosse della dirigenza forse lascerebbero qualche perplessità. Il dirigente scolastico infatti avrebbe voluto sentire uno per uno gli alunni accompagnati dai genitori e avrebbe tentato poi di minimizzare l’accaduto. Il risultato è stato il panico dei ragazzi sottoposti ad interrogatorio e la conferma della mancanza di vero ascolto da parte della scuola.

Nessuno chiedeva pene esemplari per nessuno.

“Tutti in classe contro uno” scrive Il Fatto Quotidiano il 3 maggio scorso.

Le risse tra ragazzi sono in crescita ma la scuola che fa? L’ignoranza non è ammessa è come se un medico usasse solo radiografie perché non vuole che si adoperi la risonanza magnetica: non ha senso usare le sospensioni quando c’è un problema di educativo”, dice il pedagogista Daniele Novara.

L’articolo punta sulla sete di giustizia e punizione da parte dei genitori, ma forse le cose non starebbero così.

Genitori e ragazzi vorrebbero essere tutti ascoltati e coinvolti nell’educazione dei propri figli. Non reclamano nessuna punizione, ma una grande attenzione per tutti in modo costruttivo e trasparente. Il prolungarsi del disagio ha deluso ed ha insinuato l’idea di superficialità nell’affrontare il problema da parte delle figure professionali di riferimento.

Il rischio è che ora si possa tracciare una pericolosa linea che torni a dividere italiani da una parte e pakistani dall’altra, riportando la situazione a come era vent’anni fa.

E da destra, qualcuno invoca già la presenza dell’esercito. Il razzismo vuole conferme dei pregiudizi da parte di ciascuno e questa situazione accantonata nel tempo sta offrendo questo gustoso boccone su un vassoio d’argento. Un fallimento per tutti.

di Grazia Satta

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