Fake news e Rafale abbattuti: il ruolo controverso dell’informazione indiana nella crisi indo-pakistana
In tempi di guerra, si dice che la verità sia la prima vittima. Ma nel contesto attuale del conflitto tra India e Pakistan, gran parte dei media indiani sembrano aver fatto ben più che uccidere la verità: l’hanno calpestata, bruciata e gettata in mare, alimentando con disinformazione una pericolosa isteria bellica.
Nei giorni scorsi, tra notiziari urlati e “analisti” da studio televisivo, il panorama mediatico indiano si è trasformato in un teatro di propaganda senza freni. I contenuti diffusi ricordano più le sceneggiature di un film di Bollywood che reportage di giornalismo responsabile. Il tutto mentre si registravano vittime reali: almeno 31 civili pakistani uccisi in attacchi aerei condotti da Nuova Delhi e decine di feriti.

Disinformazione fuori controllo
Le notizie false, rilanciate da diverse reti indiane, sono state così grottesche da rasentare l’assurdo. Secondo alcuni canali:
- Il porto di Karachi sarebbe stato distrutto dalla Marina indiana (ma intanto, lì si mangiava tranquillamente pesce fresco).
- Il capo dell’esercito pakistano sarebbe stato arrestato dopo un colpo di stato (di cui nessuno in Pakistan sa nulla).
- Islamabad sarebbe caduta sotto attacco indiano e il premier Shehbaz Sharif trasferito in un “rifugio sicuro” (che nessuno è riuscito a localizzare).
- Un caccia pakistano F-16 o JF-17 sarebbe stato abbattuto (ma non si riusciva a decidere quale).
- Un pilota dell’aeronautica pakistana sarebbe stato catturato (eco dell’episodio di Abhinandan nel 2019).
- Lahore sarebbe stata conquistata dalle forze indiane (una fantasia ricorrente nei notiziari).
Tutto questo sarebbe ridicolo, se non fosse tragico. Perché mentre si raccontano storie di fantasia, civili da entrambi i lati del confine stanno morendo. Eppure, molti media indiani continuano a incitare alla guerra, promuovendo una narrativa aggressiva che sembra più utile a sostenere il governo Modi che a informare realmente l’opinione pubblica.
Giornalismo o propaganda?
In un mondo ideale, il giornalismo dovrebbe ridurre le tensioni, offrendo spazi di dialogo e approfondimento. Dovrebbe investigare, mettere in discussione le versioni ufficiali e cercare la verità, specie in tempi di conflitto dove anche una minima distorsione può scatenare gravi conseguenze.
E invece, negli ultimi giorni, il giornalismo indiano ha fatto esattamente il contrario. Ha alimentato l’odio, diffuso notizie non verificate e spesso completamente inventate. Secondo il manuale di Conflict-Sensitive Reporting della Friedrich Naumann Foundation, il ruolo del giornalista in tempo di guerra è quello di promuovere il consenso, correggere i pregiudizi e umanizzare l’altro lato. Nulla di tutto ciò è stato fatto.
Una crisi di credibilità
Il peggior esempio recente? La perdita di diversi caccia indiani, inclusi alcuni Rafale, fiore all’occhiello dell’aviazione di Nuova Delhi e già al centro di scandali per corruzione. Quando l’agenzia Reuters ha riportato conferme ufficiali statunitensi sul loro abbattimento, l’ondata propagandistica dei media indiani si è fatta ancora più intensa, quasi a voler distrarre l’opinione pubblica da una dolorosa verità.
A farne le spese è stata anche The Wire, una delle poche testate critiche nei confronti della narrativa dominante. Secondo fonti locali, l’accesso al sito è stato bloccato dalle autorità, segnando un altro passo verso la censura.
In definitiva, una parte del giornalismo indiano si è trasformata in megafono della propaganda governativa, sacrificando la credibilità, la deontologia e il rispetto per la verità. Ma senza verità, un giornalista non è che un semplice compilatore di slogan.
L’autore di questo articolo è Shahzeb A, giornalista e commentatore per Dawn.