Copertina Time su Khamenei confronto con Saddam e Gheddafi scatena polemiche online

Il volto del nemico: come Time riscrive la geopolitica mediorientale attraverso le sue copertine

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Opinione: La nuova copertina della rivista Time, in edicola dal 7 luglio 2025, ha acceso un acceso dibattito online e tra osservatori internazionali. L’immagine ritrae la Guida Suprema dell’Iran, Ali Khamenei, con un effetto grafico che simula lo strappo di un manifesto: il volto del leader è parzialmente lacerato, come a suggerire la fine di un’epoca. Un trattamento visivo che ha rapidamente suscitato paragoni con due precedenti copertine storiche della rivista: quella su Saddam Hussein nel marzo 2003 e quella su Muammar Gheddafi nel settembre 2011.

Copertina Time su Khamenei confronto con Saddam e Gheddafi scatena polemiche online
Copertina Time su Khamenei confronto con Saddam e Gheddafi scatena polemiche online

In tutti e tre i casi, Time ha scelto di rappresentare questi leader attraverso metafore visive di rimozione o disgregazione: la pittura che cancella (Saddam), la polvere che dissolve (Gheddafi), lo strappo che svela il vuoto (Khamenei). Un linguaggio iconografico potente, che non si limita alla dimensione estetica, ma assume una chiara funzione narrativa. Come notato da molti utenti e analisti, queste copertine sembrano costruire una continuità simbolica tra tre figure accomunate non solo dall’autoritarismo, ma anche da una collocazione nel mirino dell’Occidente.

Non si tratta, secondo gli esperti, di una coincidenza. Il professor David Campbell, docente di fotografia e conflitto presso la Durham University, sottolinea come “la visualità politica nei media occidentali costruisce una cornice morale attorno alla figura del nemico. Quando un volto viene cancellato o deteriorato, si comunica più di quanto dicano i titoli: si comunica che quel potere è prossimo alla fine, e che la sua rimozione è desiderabile, se non inevitabile”.

La copertina del 2003 con Saddam Hussein, pubblicata poche settimane prima dell’invasione statunitense dell’Iraq, mostrava un operaio che copriva con vernice bianca un murale del dittatore. Il titolo “Life After Saddam” si accompagnava a un’analisi dell’allora piano dell’amministrazione Bush per “occupare l’Iraq e rifare il Medio Oriente”. Quella rappresentazione visiva precedette l’inizio della guerra e anticipava simbolicamente il “regime change”. La guerra, come noto, si concluse con la caduta del regime, ma diede avvio a un lungo periodo di instabilità, guerra settaria e all’emergere dell’ISIS.

Otto anni dopo, nel 2011, Time tornò sulla stessa linea con la copertina dedicata a Gheddafi: il volto del rais libico, visibilmente dissolto in polvere, accompagnava il titolo “The World After Gaddafi”. Anche in questo caso, la copertina uscì dopo l’intervento NATO che contribuì alla sua deposizione e morte. Tuttavia, anche il “dopo Gheddafi” fu tutt’altro che risolutivo: la Libia è sprofondata in una crisi prolungata, con governi rivali, milizie armate e una fragile tenuta statuale.

Ora, con Khamenei, la grafica dello strappo sul volto si accompagna al titolo “The New Middle East” e a servizi interni che parlano apertamente di minaccia iraniana, crisi del regime e posta in gioco per l’America. In un contesto segnato da forti tensioni regionali, dalla guerra in corso con Israele, il conflitto a Gaza, al dossier nucleare, fino alle sanzioni economiche, la rappresentazione visiva del leader iraniano come figura logorata alimenta la percezione di un potere al tramonto. Un messaggio che, a detta di alcuni esperti, può avere ricadute concrete sulla percezione pubblica e sul clima politico internazionale.

La studiosa Susan Moeller, docente di comunicazione globale all’Università del Maryland, ha spiegato in diverse ricerche come “le copertine dei media mainstream non solo sintetizzano l’agenda politica, ma la influenzano direttamente. Quando viene usata un’immagine forte, associata a parole come ‘minaccia’ o ‘declino’, si contribuisce a creare consenso per potenziali azioni politiche o militari”.

Tale uso delle immagini, con evidenti richiami estetici tra le tre copertine, non può dunque essere letto soltanto come scelta stilistica. È piuttosto un discorso editoriale visivo che suggerisce un paradigma: dittatore mediorientale più decadenza visiva: fine annunciata. Un’equazione che si è già verificata due volte e che, secondo alcuni osservatori, si starebbe riproponendo nel caso iraniano.

In un’epoca in cui la comunicazione visiva è centrale nella formazione dell’opinione pubblica, simili rappresentazioni vanno interrogate con attenzione. Lungi dall’essere neutre, esse contribuiscono a costruire immaginari geopolitici e, in alcuni casi, ad anticipare la storia, nel caso di Ali Khamenei speriamo di NO.

di Wajahat Abbas kazmi

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