Dopo il grave attacco terroristico del 22 aprile a Pahalgam, in cui hanno perso la vita 26 persone, l’India ha deciso di sospendere unilateralmente il Trattato delle Acque dell’Indo (Indus Waters Treaty), firmato nel 1960 e mai interrotto, nemmeno durante le guerre tra i due Paesi.
Secondo quanto riferito dal governo indiano, la decisione è stata presa a causa del presunto “terrorismo transfrontaliero” da parte del Pakistan. Tuttavia, Islamabad ha respinto con forza l’accusa e ha ricordato che il trattato è un accordo internazionale vincolante, firmato grazie alla mediazione della Banca Mondiale, e che nessuna delle due parti può sospenderlo da sola.

Cos’è il Trattato delle Acque dell’Indo
Questo trattato assegna a India e Pakistan l’uso separato di sei fiumi: l’India controlla Sutlej, Beas e Ravi, mentre il Pakistan gestisce Indus, Jhelum e Chenab. Con questa mossa, l’India punta a colpire Islamabad con una sorta di “attacco idrico”, ma secondo molti esperti sarà proprio l’India a pagarne le conseguenze, sia sul piano diplomatico sia economico.
La risposta del Pakistan: sospendere l’Accordo di Shimla
Come reazione, il Consiglio di Sicurezza Nazionale pakistano ha annunciato la possibilità di sospendere anche gli altri accordi bilaterali con l’India, tra cui il celebre Accordo di Shimla del 1972, che ha regolato i rapporti diplomatici dopo la guerra del 1971. Se Islamabad procederà in questa direzione, l’India non potrà più bloccare eventuali interventi esterni sulla questione del Kashmir. Paesi come Stati Uniti o Cina potrebbero così tornare a giocare un ruolo di mediazione, finora escluso per via di questo accordo.
Una strategia già vista
Non è la prima volta che l’India minaccia di usare l’acqua come strumento di pressione. È successo nel 2001, dopo l’attacco al Parlamento indiano, e di nuovo nel 2019, dopo l’attacco a Pulwama. In realtà, afferma Hamid Mir, l’India ha più volte cercato di aggirare o modificare il trattato per costruire dighe e deviare parte delle acque, ma ogni volta ha dovuto fermarsi dopo le proteste del Pakistan presso la Banca Mondiale.
Anche oggi, molti esperti indiani ammettono che la sospensione del trattato non porterà immediatamente alla siccità in Pakistan. L’India infatti non ha né le infrastrutture né i bacini necessari per bloccare il flusso dell’acqua. Secondo stime realistiche, potrebbe al massimo ridurre il flusso del 5-10%.
Chi rischia di più?
Hamid Mir sottolinea che, nel lungo periodo, l’India rischia di rimetterci di più: sospendere trattati e accordi internazionali la isola diplomaticamente, mentre il Pakistan potrà rivolgersi ad attori esterni e rafforzare la propria posizione sul dossier Kashmir.
La cosiddetta “guerra dell’acqua” – conclude il giornalista – non lascerà il Pakistan all’asciutto, ma potrebbe invece trasformarsi in un boomerang per il governo di Modi.
di Hamid Mir, giornalista pakistano – per Geo News