L’imprenditrice afgana della pasta: Nei pacchi di pasta la resistenza delle donne afgane continua.

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La genialità nasce dalla realizzazione di un’idea semplice, ma di vitale importanza come un cibo buono. Grano, acqua, sale. Il calore del fuoco in un forno di pietra e il pane esiste. Nella mia infanzia in Sardegna, ricordo l’importanza della preparazione del Pane Carasau. Un pane che durava nel tempo. Mia madre lo ordinava alle panettiere una volta al mese. Averlo in casa era una sicurezza, poteva mancare quello fresco, anche la pasta poteva mancare, ma bastava immergerne un attimo i fogli fruscianti nell’acqua calda, condire tutto con un semplice sugo di pomodoro e col formaggio grattugiato e il piatto era pronto.

Il rito antico di sempre del pane e della sua conservazione, il coraggio eterno delle donne nutrici di popoli.


Forse Sima, l’imprenditrice afgana della pasta, pensava a tutto ciò quando ha dato vita nel 2018 ad un pastificio nel nord del suo paese con nove donne che vi lavoravano. Nove donne in un Paese difficile, con storie difficili: sole, vedove, madri, a volte unica fonte di sostentamento per le proprie famiglie, prigioniere ora di un’ignoranza fanatica di chi è di nuovo al potere.

Le foto in rete le mostrano in un laboratorio essenziale, forse due stanze nella casa di una di loro. Pavimenti coperti da teli candidi e l’oro della pasta ovunque, su stenditoi di legno e teli bianchi. Un ordine essenziale, povero, quasi ingenuo: mascherina, cuffia per capelli sopra lo chador, i vestiti di tutti i giorni. La divisa di lavoro è un grembiule a righe nere rosse e bianche. Gli strumenti sono quelli che sicuramente una qualsiasi “zdora” emiliano- romagnola ha sul tavolo infarinato della cucina.


Fili di pasta e fili di parole. L’importanza di questo progetto viaggia oltre l’importanza dell’imprenditoria di donne in un paese duro come l’Afganistan. Ha permesso loro di tessere relazioni oltre le prigioni domestiche, di sognare, progettare, di parlare dei problemi, ma con la certezza che si possono risolvere. Ha permesso la nostalgia del futuro.


Chi prepara il cibo non può racchiudere la propria vita in un antro buio e solitario, pensa alla libertà e a nutrire la vita di tutti. L’eterna lotta per restare in vita. La rete di questo progetto si estende ed arriva fino all’Italia che di pasta se ne intende.


Il 15 agosto 2021 ritornano al potere i talebani e tutto si interrompe. Nonostante il nuovo governo avesse promesso la tutela dei diritti delle donne, il 7 maggio scorso un decreto del Ministero per la Propagazione della Virtù e la Prevenzione del Vizio ha fatto fare un balzo indietro al paese, e soprattutto alle donne, di oltre vent’anni. Si chiude il laboratorio e le donne avvolte nel burqa ritornano nella prigione delle proprie case. Le strade polverose che percorrevano prima due giorni la settimana, per trovarsi insieme ad impastare acqua e farina, per raccontarsi, per ridere, per esistere, sono un sogno.


Tutto il materiale viene sequestrato, si salvano solo le macchine a manovella per fare la sfoglia. Per loro si chiudono tutte le scuole, anche quelle femminili, parlare di lavoro è un’eresia. Qualunque spostamento da sole è impossibile. Sono nuovamente proprietà di un uomo che deve garantire qualunque cosa facciano.


Sima si reinventa una professione, vendere abiti femminili e sciarpe, una delle poche attività che una donna può svolgere, altrimenti a chi si rivolge una donna per vestirsi? In una fiera a Kabul Sima incontra una donna italiana che ascolta la sua storia e raccoglie il suo desiderio di riaprire il pastificio. I fili si annodano e i sogni camminano.

Selene Biffi creatrice del progetto She Works For Peace è il filo d’oro che si riannoda e che permette a Sima di riaprire il suo pastificio.


Oggi sono undici le donne che hanno ripreso a lavorarci, inclusa Sima impegnate nella parte produttiva. Gli uomini si occupano della distribuzione, perché non tutti gli uomini sono talebani.
Tra queste donne c’è chi prima del regime talebano lavorava come insegnante, chi come cuoca in un ristorante, e chi invece studiava all’università. Oggi sono di nuovo insieme.


La Girolomoni, una cooperativa agricola italiana produttrice biologica di pasta, ha messo a disposizione le risorse necessarie per coprire i primi mesi di attività, per il salario dei dipendenti, per l’acquisto dei prodotti, per l’elettricità e il trasporto dei materiali. Un altro filo si annoda al progetto. un filo di chi pensa al cibo dando importanza al rispetto della natura, alla genuinità ed alla conservazione di semi antichi.


L’attività del pastificio riprende grazie al supporto ricevuto, incrementando la sua attività. I due giorni iniziali, sono diventati cinque la settimana, il numero delle donne impiegate è passato da due a quindici e si producono oltre 670 confezioni di pasta al giorno.


Ed alla rete si aggiungono nuovi sostenitori, le aziende Sima Impianti, Landucci e Ricciarelli che portano ulteriori investimenti e l’attivazione di una rete in grado di fornire supporto con continuità, anche sul piano tecnico.


Una magnifica macchina si mette in moto e per piccoli passi, nei pacchi di pasta la
resistenza delle donne afgane continua
.

di Grazia Satta

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