di Laura Bicker, corrispondente BBC dalla Cina
A Yiwu, nel cuore commerciale della Cina, l’umore è cambiato. “Non ci interessa vendere agli Stati Uniti”, dice Hu Tianqiang, mentre uno dei suoi jet giocattolo sfreccia sopra le nostre teste.
Il suo banchetto è immerso in un mare di droni, peluche e robottini parlanti. Siamo nel più grande mercato all’ingrosso del mondo, con oltre 75.000 negozi distribuiti su reparti così grandi da sembrare hangar.
Yiwu si trova nella provincia di Zhejiang, sulla costa orientale della Cina, ed è un centro fondamentale per l’export. Solo nel 2023 ha rappresentato il 17% di tutte le esportazioni cinesi verso gli Stati Uniti.

Eppure, oggi Mr Hu guarda altrove. Dei circa 34 miliardi di dollari di giocattoli esportati dalla Cina lo scorso anno, 10 miliardi sono andati negli USA. Ma con le nuove tariffe fino al 245% annunciate da Donald Trump, quel mercato sta perdendo appeal.
“Altri Paesi hanno soldi”, dice Hu. E con questo spirito, Yiwu sta cambiando strategia. Ora i clienti arrivano dal Sud America e dal Medio Oriente. “Non ci mancano i soldi, siamo ricchi”, aggiunge con tono deciso.
Anche Chen Lang, suo collega, ironizza su Trump: “Ogni giorno una battuta. Aumentare i dazi per lui è come raccontare barzellette”.
Intanto, il mercato registra un calo degli ordini americani. “Il negozio accanto al mio ha rifiutato un ordine da oltre un milione di yuan per colpa dei dazi”, racconta Lin Xiupeng, altro venditore di giocattoli.
Lin è convinto che gli Stati Uniti abbiano comunque bisogno della Cina: “Produciamo la maggior parte dei loro giocattoli. Molte aziende americane protestano”.
Negli USA, alcuni imprenditori del settore hanno lanciato l’allarme. Jonathan Cathey, fondatore di un’azienda di giocattoli a Los Angeles, ha detto alla BBC che i dazi sono “devastanti per le piccole imprese”. Ha iniziato con 500 dollari in un bungalow, ora è a capo di un’impresa multimilionaria, ma teme un “crollo totale della filiera”.
Il ritorno della guerra commerciale
Il nuovo mandato di Trump (o anche solo la sua candidatura) ha già rimesso la Cina nel mirino. Dalle accuse infondate sul controllo del Canale di Panama, alle mire sulla Groenlandia, fino alla caccia alle terre rare (di cui la Cina detiene il quasi monopolio), la pressione cresce.
Trump ha anche avviato nuovi dazi contro i Paesi vicini alla Cina, come Vietnam e Cambogia, strategici per la catena di approvvigionamento cinese. Negli ultimi giorni, ha parlato di un possibile “accordo equo” con la Cina. Ma il Ministero del Commercio cinese ha risposto: “Sono dichiarazioni infondate”.
I media di Stato non hanno usato mezzi termini: “Trump è probabilmente il peggior presidente della storia americana”, titolava un servizio della TV cinese.
Zhou Bo, ex colonnello dell’Esercito Popolare di Liberazione, riassume così: “Sembra che Trump sia in crociata contro il mondo intero, ma ce l’ha soprattutto con la Cina”.
Secondo Zhou, però, questa guerra di dazi non durerà: “Al massimo qualche mese. Di più sarebbe dannoso per tutti”.
Una Cina già sotto pressione
Anche senza Trump, la Cina sta affrontando problemi interni: consumi bassi, crisi immobiliare, risparmi ridotti e sfiducia nel futuro. I dazi arrivano in un momento difficile.
Goldman Sachs prevede una crescita del PIL cinese del 4,5% nel 2024, sotto il target ufficiale del 5%.
Dati recenti mostrano una brusca frenata della produzione industriale, con merci destinate agli USA ferme nei magazzini. In molti casi, le esportazioni sono sospese o in attesa. Un fornitore ha riferito alla BBC di avere mezzo milione di capi d’abbigliamento fermi in fabbrica, in attesa di sapere se Walmart li ritirerà.
Il consumatore americano rischia scaffali vuoti
Gli Stati Uniti dipendono ancora largamente dalla manifattura cinese: elettronica, abbigliamento, arredamento. Walmart e Target avrebbero avvertito Trump: da giugno ci saranno scaffali vuoti e prezzi più alti.
Il 90% delle decorazioni natalizie americane viene proprio da Yiwu, dove ora i venditori espongono cartelli in spagnolo e portoghese. Molti di loro stanno studiando arabo e spagnolo grazie a corsi gratuiti offerti dalle autorità locali.
“Queste donne sono la spina dorsale del commercio cinese”, dice un venditore iraniano mentre insegna le basi dell’arabo a una collega. Il loro obiettivo? Accogliere i nuovi clienti con un sorriso nella loro lingua.
Oscar, un commerciante colombiano, ci mostra le sue borse piene di peluche: “La guerra commerciale con gli USA è un’opportunità per il resto del mondo. Fare affari con la Cina è essenziale. Con gli Stati Uniti, oggi, un po’ meno”.
Fonte BBC