Questo articolo si basa sull’opinione originale della giornalista americana Katha Pollitt, pubblicata su “The Nation”.

Per anni ho creduto che i diritti delle donne fossero ormai una conquista irreversibile, e che il femminismo, nonostante gli ostacoli, fosse in cammino costante. Pensavo che il progresso fosse troppo radicato nella società per essere fermato: le donne sono fondamentali per l’economia moderna, hanno raggiunto posizioni di potere, si mantengono da sole, hanno ottenuto riconoscimenti culturali e politici, dal movimento #MeToo fino alla presenza crescente nelle istituzioni. Ma negli ultimi anni, soprattutto con Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti, è diventato sempre più difficile non vedere il rischio concreto di un ritorno al passato. La sua amministrazione – e ancor più la prospettiva di un secondo mandato – rappresenta un attacco diretto a molti dei traguardi raggiunti. Nelle sue nomine ai vertici spiccano uomini accusati di violenze e comportamenti sessisti, come Pete Hegseth alla Difesa e Robert F. Kennedy Jr. alla Sanità, che ha messo in discussione l’aborto e perfino l’efficacia del vaccino contro il papilloma virus. Hegseth, intanto, ha cacciato donne e afroamericani dai vertici militari, accusando le politiche inclusive di “indebolire” l’esercito. In questo clima, anche simboli della storia americana come i Navajo Code Talkers sono stati cancellati dai siti ufficiali. Intanto, Trump promette di “proteggere le donne”, anche se “loro non lo vogliono”, congelando però i fondi per combattere la violenza domestica, tagliando i servizi per l’infanzia e cercando di ridurre programmi sociali come Medicaid, che sostengono soprattutto donne e bambini. Le sue direttive contro la “diversità” (DEI) hanno cancellato norme pensate per garantire equità e inclusione, mentre parole come “genere” e “uguaglianza” vengono ora considerate tabù nei documenti ufficiali, al punto che usarle può portare al rifiuto di un finanziamento. La situazione è ancora più grave a livello internazionale: l’agenzia USAID, che salvava milioni di vite tra donne e bambini nei Paesi poveri, è stata smantellata. È tornata in vigore la “global gag rule”, che vieta a chi riceve fondi USA perfino di menzionare l’aborto. Tutto questo fa parte di un progetto ideologico più ampio, sostenuto da una rete di potere maschile: conservatori religiosi, influencer misogini, imprenditori come Elon Musk. Figure come Andrew Tate vengono idolatrate da giovani uomini che vedono nelle donne solo oggetti da controllare. Nessuno di questi gruppi si critica tra loro, anche quando hanno valori apparentemente opposti: condividono l’obiettivo di ridurre il ruolo delle donne nella società. In questo contesto, Trump appare come il leader che tiene unita questa alleanza, lasciando da parte ogni contraddizione morale. Quello che sta accadendo non è solo una deriva culturale: è un attacco organizzato e sistematico che potrebbe cancellare decenni di diritti. E se non fermato, lascerà un’eredità difficile da ricostruire.