Pensavo che mia figlia fosse omosessuale..

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Se tutti gli adulti fossero madri di tutti i figli del mondo. Faccio mia la storia commovente di una mia cara amica.


“Dov’è l’anima? Ho sempre teorizzato che non ci sia, da non religiosa ho sempre pensato che,
qualora ci fosse, un’anima sarebbe qualcosa che appartiene all’universo, che si insinua nella
materia, perché tutto è materia, che non sarebbe un privilegio di un essere su un altro e che
sarebbe la stessa cosa che passa da un topo di fogna alla più bella nuvola di un tramonto.
Ora però cerco l’anima di mia figlia.


Ho sempre saputo che avrei dovuto fare i conti con una situazione di smarrimento, sono sempre
stata nello smarrimento. Ho sempre pensato aristocraticamente che la mia fosse una situazione
intellettualmente privilegiata.
Ero la madre di una figlia speciale, una madre consapevole, senza grinta difensiva perché non
c’era niente da difendere.


Una figlia che ama una donna rimaneva sempre nella categoria femminile di figlia con un nome
femminile con tutti gli aggettivi a lei attribuibili, femminili, con una voce femminile, scadenze
femminili, bagni con l’icona femminile dove fare la fila insieme.
Tutti quei percorsi della grammatica della vita che mi hanno sempre rassicurato anche in quelle
deviazioni che per me erano, nonostante mi ritenessi emancipata, deviazioni, non percorsi.
Non ho mai immaginato di pensate che quelle che per me erano le deviazioni della vita di mia
figlia, fossero il percorso fondamentale della sua di vita.


Il tempo.
Non avevo fatto i conti col tempo ed il tempo è qualcosa di individuale che scorre in modo diverso
per ognuno di noi.


Il mio era quello di una madre che vorrebbe trattenerlo, conservarlo, avara nello srotolarlo per
paura di finirlo, il suo era quello di chi, piena di energia, lo vedeva come un lampo di futuro.
Il suo tempo fuggiva dal mio essere.
Anche in quelli che ci sembrano passaggi graduali digeribili avvengono scossoni imprevedibili e
repentini.


Date di passaggio. Quelle che scandiscono tutte le storie di tutte le vite.
La nostra data è il diciottesimo compleanno.
La sua richiesta non ammette repliche:

Da oggi non voglio più essere chiamata Lucia, sono Ettore e tutto ciò che mi riguarda deve
essere declinato al maschile,


Il tempo mi si attorciglia tra passato e presente, all’improvviso sento una forte inadeguatezza come
madre.


Pensavo che mia figlia fosse omosessuale e che la mia più totale accettazione del suo essere
fosse sufficiente, ma non pensavo ad un maschio eterosessuale in un corpo da donna.
Usavo per lei un lessico declinato al femminile.


Diciotto anni da madre di una figlia, una figlia con un nome simbolico: Lucia, luce nel buio, luce per
tutti coloro che le sono vicini.


Ora a dispetto di tutto sento che qualcosa di lei muore in me e muoio anche io.
Tutte le mie stratificazioni educative si confondono e premono per affiorare.
Sono io che non so chi sono, sono io che mi accorgo della mie infinite maschere con le quali ho
sempre galleggiato in tanti legami sociali.


La difficoltà si annida nelle piccole cose. Un nome diverso, un’ansia sconosciuta dei miei pensieri
che temo non possano trovare la connessione giusta per raggiungerla la sua anima in fuga.
Sì, quella che cerco e che mi sfugge nel suo migrare nello stesso corpo da Lucia ad Ettore.
Continuo a vederne due e a non saper come fare per raggiungere, non so quale, quella che nel
mio modo di pensare ancora sbagliato, è la giusta.


Gioco col significato dei due nomi fra i quali c’è il suo transito, il nostro transito e cerco i buoni
auspici.


Lucia, luminosa, splendente, luce del mattino che fuga le ombre della notte.
Ettore, colui che sostiene, che sta saldo, forte e risoluto. Un nome eroico, un buon auspicio, un
approdo sicuro.


Mi fido degli auspici, della letteratura, dell‘etimologia dei nomi.

Era importante per me nel momento della sua nascita, scegliere un nome che avesse un
significato, altrettanto lo è per lei che ora che, alla sua maggiore età, ha deciso di nascere di
nuovo.


Un Dio imperfetto.
Questo è un Dio che mi piacerebbe pensare. Un Dio che ha bisogno di aiuto per capire l’universo.
Un Dio che non ha soluzioni e che ci accompagna nell’imperfezione dell’esistenza.
Un Dio umile che dice: – Sbaglio anche io, aiutatemi ad aiutarvi. –
Un Dio che ride ironico e leggero che sperimenta sempre nuovi percorsi perché l’idea di amore
odia la noia e fugge dalle idee scontate nelle quali vorremmo intrappolarlo.
Seguendo questo smarrimento forse troverò quella bellissima anima che migra da una figlia ad un
figlio.

di Grazia Satta

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