Quando il femminismo normalizza i talebani: il silenzio imposto alle donne afghane

Quando il femminismo normalizza i talebani: il silenzio imposto alle donne afghane

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Articolo basato sull’opinione di Zahra Nader, giornalista afghana e direttrice di Zan Times.

La recente presa di posizione di Cheryl Benard sulla fine della protezione temporanea (TPS) per i rifugiati afghani negli Stati Uniti ha provocato indignazione tra molte persone afghane. Secondo Benard, l’Afghanistan non sarà un paradiso, ma è “migliorato”, “stabilizzato” e abbastanza sicuro da poterci rimandare circa 8.000 rifugiati. Una visione che suona rassicurante solo a chi osserva da lontano.

Quando il femminismo normalizza i talebani: il silenzio imposto alle donne afghane
Cheryl Benard e Zalmay Khalilzad

Benard ammette, con toni tiepidi, la grave esclusione delle ragazze dall’istruzione pubblica, ma sostiene che le scuole private siano “permesse a ogni livello”. Tuttavia, nel dicembre 2022, Zan Times ha documentato come i talebani abbiano vietato anche i centri educativi privati oltre la sesta elementare per le ragazze. Forse Benard si riferisce alle madrasse, scuole religiose spesso usate come strumento di indottrinamento.

Confrontando la situazione afghana con quella dell’India, Benard elenca violenze di genere gravi come i matrimoni forzati e gli stupri di gruppo, per poi concludere che il mondo condanna i talebani con troppa severità. Ma dimentica volutamente un punto essenziale: in Afghanistan è in atto un vero e proprio apartheid di genere, con leggi che cancellano sistematicamente la presenza femminile dallo spazio pubblico.

Secondo Benard, l’Afghanistan si sta “stabilizzando”. In effetti, quando chi prima sparava ora è al potere e chi osa opporsi viene arrestato, torturato o fatto sparire, regna un’apparente calma. Ma questa “pace” è quella di una prigione. Mentre lei, donna occidentale e moglie di Zalmay Khalilzad (l’uomo che ha negoziato il ritorno al potere dei talebani), può muoversi liberamente a Kabul, milioni di donne afghane non possono nemmeno recarsi in una clinica senza un accompagnatore maschio.

il silenzio imposto alle donne afghane
il silenzio imposto alle donne afghane

Secondo i rapporti, donne sono state arrestate e frustate pubblicamente per aver preso un caffè o per essersi recate dal medico con un cugino. Alcune, costrette a mendicare per sopravvivere, sono state violentate. Eppure, queste notizie non trovano spazio nei racconti “ottimistici” di Benard.

Benard si definisce femminista, ma che tipo di femminismo è quello che liquida la paura delle donne afghane come “isteria”? Che tipo di femminismo usa l’esempio di poche commesse a Kabul per minimizzare le sofferenze di milioni di donne escluse dall’istruzione, dal lavoro e dalla vita pubblica? Le poche donne che lavorano oggi in Afghanistan non lo fanno con il consenso dei talebani, ma in sfida alle loro regole. E tante altre hanno perso ogni possibilità di lavorare: solo la chiusura di 12.000 saloni di bellezza ha lasciato senza reddito 60.000 donne, spesso uniche fonti di sostentamento delle loro famiglie.

Benard finge di raccontare la realtà, ma la distorce. Le sue parole suonano come propaganda ben confezionata per rassicurare un Occidente che vuole tornare a dialogare coi talebani senza sensi di colpa. Ma ciò che lei presenta come progresso è solo il risultato di una brutale repressione. E ciò che definisce “calma” è il silenzio imposto dalla paura.

L’articolo di Benard ignora volontariamente i numerosi rapporti internazionali, dalle Nazioni Unite ad Amnesty International, che denunciano i crimini dei talebani come violazioni sistematiche dei diritti umani. Per lei, come per altri sostenitori di una “normalizzazione” dei talebani, queste testimonianze sono “esagerazioni” di donne troppo emotive.

Afghanistan, la denuncia di Zahra Nader contro la narrazione “rassicurante” del regime talebano
Afghanistan, la denuncia di Zahra Nader contro la narrazione “rassicurante” del regime talebano

Alla fine, Cheryl Benard non solo si sbaglia sull’Afghanistan: con la sua narrativa cancella le voci delle donne afghane. Quelle donne non hanno mai chiesto il ritorno dei talebani al potere, tanto meno sono state consultate. L’accordo di Doha, firmato anche dal marito di Benard, ha consegnato il paese a un regime violento, senza nemmeno pretendere garanzie sui diritti umani.

In definitiva, l’articolo di Benard non è un’analisi, ma un tentativo di rendere accettabile l’inaccettabile. Serve solo a tranquillizzare chi, dall’estero, vuole illudersi che tutto stia andando bene. Ma noi, donne afghane, non abbiamo bisogno della sua rassicurazione. Abbiamo bisogno che il mondo ci ascolti davvero, invece di farsi raccontare la nostra realtà da chi ci osserva da lontano.

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