Stamane a Ferrara è stata celebrata la Giornata della Memoria per le vittime della Shoah.

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Una città amministrata ormai da tre anni dalla destra divisiva e xenofoba ha fatto forse, buon viso a cattivo gioco e perfino l’assessora all’istruzione, che vuole essere chiamata assessore, salviniana di ferro, ha letto un bel discorsetto sullo sterminio nazifascista di ebrei, omosessuali, rom, handicappati, oppositori politici. Un orrendo, razionale progetto per la pulizia della razza.

Letto come si legge un comunicato, per dovere formale.

La Piazza Municipale ha ospitato l’evento e protagonisti sono stati gli alunni delle ultime classi delle scuole elementari e le prime medie dell’Istituto Govoni che, grazie alla collaborazione di docenti e musicisti della scuola di musica Musijam, hanno presentato uno spettacolo di danze e cori intitolato “Le musiche interrotte”. Un titolo evocativo. Ci ricorda che per anni l’umanità ha smesso di respirare, cantare, danzare e di sperare e si è pietrificata nella paura.

Assisto allo spettacolo dall’alto della scalinata del municipio, quella dalla quale, al momento dell’ insediamento dell’attuale giunta, è stato fatto sparire lo striscione di Amnesty che chiedeva verità per Giulio Regeni. Con me è un’amica pakistana e insieme seguiamo i passi di danza del figlio entusiasta di essere là coi suoi compagni.

I ragazzi sono una presenza bellissima con i loro visi di tutti i colori uniformati dall’abbigliamento informale e muovono i piedi con leggerezza nelle loro scarpe sportive tutte uguali e tutte diverse. Descrivono cerchi tenendosi per mano, mostrano orgogliosi i cartelloni dei loro pensieri.

Sono quella parte di presente sana che sembra aver capito tutto. Rappresentano la scuola come dovrebbe essere: inclusiva, stimolante, che legge la Storia in modo critico con una sensibile inquietudine etica.

Tutto giusto! Applausi meritati e alla fine calorosi saluti di commiato.

Monto sulla bici e mi lascio trasportare verso casa. Ho sempre adorato percorrere le vie pedalando lentamente, bighellonando per lasciarmi stupire dalla bellezza di questa città tempestata di lapidi alla memoria di vittime della Resistenza. 

Un passato che non torna più penso.

I pensieri si staccano dal passato e precipitano nell’oggi. 

L’uomo ha bisogno di fiabe che finiscono bene, di avvenimenti compiuti da leggere col distacco della logica cronologica. Non si spiega altrimenti come sia incapace di vedere l’orrore del presente. 

Pedalo in una gelida giornata di sole e nel frattempo nel mondo sta succedendo che: lasciamo annegare le persone in mare, stabiliamo che è un reato soccorrerli, non ci fanno orrore i bambini che muoiono, ma vogliamo dare personalità giuridica ad un feto di poche ore perché la vita è sacra. Ancora siamo convinti della superiorità dell’uomo bianco e permettiamo che un buffone politico di turno baci immaginette della madonna, stringa rosari e respinga navi nei porti perché minacciano la nostra sicurezza. Ci fa orrore Aushwitz, ma finanziamo i lager libici che torturano i migranti. Dichiariamo la crisi economica mondiale, ma spendiamo sempre di più nella produzione e nel commercio delle armi. Allo scoppio della guerra in Ucraina piagnucoliamo che dopo più di settant’anni è scoppiata una guerra in Europa ed a pochi viene in mente il disastro nella ex Iugoslavia degli anni novanta. Il mondo si misura in base ad appartenenze politiche e superiorità economiche, il resto non esiste. Siamo riusciti ad essere discriminanti anche nella pietà creando profughi veri e profughi falsi. Lasciamo che il Mediterraneo sia un cimitero, ma sventoliamo bandiere gialle e azzurre in tutte le città commuovendovi per le atrocità della guerra in corso. Ci giustifichiamo dicendo: È troppo vicina a noi! 

Quell’Europa che mi aveva fatto innamorare del futuro quando ero una ragazza, quella dell’abbattimento dei confini, della libera circolazione, dei progetti Erasmus, delle famiglie internazionali è solo un grande inganno. Da Unione di Paesi all’avanguardia per i diritti si è trasformata in fortezza inespugnabile. Il lager l’ha creato enorme, fuori dai propri confini, proteggendosi col filo spinato e attuando la politica dei respingimenti.

Ma tutto ciò non ha niente a che vedere con la memoria, tutto ciò non è Storia, diceva una mediocre collega, il Presente è attualità e dunque non lo si può inserire in un programma di studio. La Storia non siamo noi.

Solo dopo dieci anni dalla morte possiamo intitolare una strada, una scuola ad un giusto. È il tempo richiesto per l’affermazione del passato.

Ripenso ai cerchi ed ai cori dei bambini, alla bandiera arcobaleno collocata al centro dei girotondi e dalla quale tutti erano alla stessa distanza e spero in una loro danza di sempre che non aspetti che il presente diventi passato.

di Grazia Satta

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