Sania e Aneela, Due sorelle uccise in Pakistan il padre è tra i sospetti principali, residente in Italia

Dietro le apparenze nessuna verità

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Le ultime due ragazze pakistane, vittime di un delitto d’onore dai contorni ancora da chiarire, sono Sania di 22 anni e sua sorella minore Aneela di 19 (link). Un vicino di casa le ha trovate morte nella abitazione dei loro genitori nel villaggio di Noshera Virkam, nel Punjab (Pakistan), uccise da diversi colpi di pistola.

Le persone su cui si sono concentrati i sospetti degli inquirenti, anche i questo caso come in quello di Saman Abbas, sono i familiari. La madre si è assunta la responsabilità materiale del delitto, ma probabilmente solo per scagionare il marito che, dal canto suo, si proclama innocente e chiede che all’autore di un crimine così crudele venga inflitta la giusta punizione. Da un angolo seminascosto della vicenda spunta il marito segreto di Sania che avrebbe dovuto proteggere la giovane moglie, complice insieme a lui, di una grave disubbidienza rispetto alle consuetudini culturali del Pakistan, ma che invece parrebbe essere coinvolto in questa brutta storia.

Due sorelle uccise in Pakistan il padre è tra i sospetti principali, residente in Italia
Sania e Aneela, Due sorelle uccise in Pakistan il padre è tra i sospetti principali, residente in Italia

Mi riaffiora alla mente la figura del presunto fidanzato di Saman Abbas che dopo aver sparato in rete la fotografia di Saman che, protesa in punta di piedi, gli dava un bacio, l’ha convinta a tornare nella casa dei genitori per avere la restituzione dei documenti. Saman è morta quando era ad un passo dalla salvezza.

Pare che l’addolorato fidanzato, Saqib abbia richiesto la protezione internazionale per sé e per la famiglia ed un iter accelerato per l’ottenimento della cittadinanza.

In Pakistan una ragazza può morire con facilità per una disubbidienza ad un’imposizione, ed il rifiuto di un matrimonio è una delle ribellioni più gravi.

Il matrimonio combinato lo subiscono sia lo sposo che la sposa, ma mentre il maschio ha mille modi per liberarsi da una moglie impostagli, qualora non sia di suo gradimento, per la donna, la faccenda si fa più complicata. La ragazza con facilità può essere ripudiata e questo fatto la segna per tutta la vita. Praticamente, dopo il ripudio, secondo la consuetudine, viene considerata una merce di seconda mano difficilmente ricollocabile nel “mercato” di nuovi contratti matrimoniali e gioco forza si dovrà accontentare, per “sistemarsi”,  di un accasamento con un uomo più vecchio, magari vedovo con altri figli che surclasserebbero quelli suoi. 

Per una donna pakistana non esiste la possibilità di appropriarsi della propria vita, cercare un lavoro che la renda indipendente, avere una casa e vivere dignitosamente in modo autonomo. 

Spesso quando il ripudio avviene in Italia, le donne cercano di non tornare nel proprio paese per evitare questo iter consolidato che le porta ad essere ancora serve di un uomo.

Il matrimonio in Pakistan è un vero e proprio contratto e tirare in ballo Allah o il Corano è proprio un grave errore.

Matrimoni per amore, matrimoni per forza … avrebbe cantato De Andrè. 

In Pakistan i matrimoni sono tutti combinati, definirli forzati è quasi impossibile perché si ammetterebbe un tentativo di rifiuto. 

Le figlie femmine da piccole subiscono una specie di pressione educativa da parte dei genitori e di tutta la comunità che le accompagna a scelte di vita in cui matrimonio, figli, ubbidienza, sottomissione al marito sono le mete fondamentali. 

Alcune ragazze aspettano con trepidazione di realizzare questo percorso.

La faccenda si fa più complicata quando giungono in Italia seguendo i genitori. La famiglia pretenderebbe di farle crescere in una sorta di bolla che possa proteggerle da una cultura diversa dalla loro. È inevitabile che frequentando le scuole si sentano incuriosite e attratte dalla vita più libera del Paese in cui sono cresciute. Sentono il Pakistane con le sue tradizioni come un mondo lontano di affetti antichi come quello dei nonni. Non vogliono tornare indietro in luoghi e in situazioni che non conoscono e di cui hanno paura e il matrimonio, con le sue regole, è la più temibile. Ribellarsi è inevitabile.

In alcuni casi, quando uno dei due promessi sposi vive in Italia e ha un permesso di soggiorno di lunga durata o addirittura la cittadinanza, l’accordo economico diventa veramente interessante. Per il coniuge che vive in Pakistan la cosiddetta pratica di ricongiungimento familiare consente di raggiungere facilmente l’Italia e questa facilitazione potrebbe avere un peso economico notevole fra le due famiglie.

Le unioni sono di due tipi: endogamiche ed esogamiche e tutte rispondono a ragioni economiche e patrimoniali precise.

I matrimoni endogamici sono i più frequenti e avvengono all’interno dello stesso gruppo familiare o clan. I due sposi possono essere cugini, anche di primo grado, e nessuno ritiene preoccupante il fatto che un’unione tra consanguinei possa costituire un problema per la salute dei figli che verranno. Attraverso queste unioni, che sono diffuse nelle aree rurali, si consolidano i legami parentali e si evita la dispersione dei patrimoni. 

La situazione cambia nelle aree urbane dove sono più frequenti le nozze esogamiche cioè fra membri di comunità diverse. lo scopo di questi connubi è quello di allargare i legami con altre comunità a seconda della convenienza economico sociale. In tutti i legami matrimoniali vale il rispetto delle caste di appartenenza perché il Pakistan conserva la divisione della società in complicate e numerose caste.

Endogamici o esogamici che siano, per la donna rimane una sottomissione prima alla famiglia d’origine e poi a quella del marito.

Il rifiuto di una figlia di accettare un marito scelto dalla famiglia è grave non tanto per il rifiuto del matrimonio in sé e tutto ciò che ne consegue per i legami tra clan, quanto per la ribellione che mette in discussione un’autorità indiscussa: quella del padre. 

L’autorità del padre è un’autorità riconosciuta dalla società nella quale si vive. Il padre non esercita il suo potere sulla figlia perché lo ritiene cosa buona, giusta e indiscussa, ma per non compromettere i suoi equilibri relazionali con altri gruppi. Una figlia che osa sfidare un padre e che lo affronta col proprio desiderio di affermare le sue scelte di vita fino a scappare dalla sua sfera di controllo, mina la sua credibilità all’interno del gruppo sociale o del clan di appartenenza.

Qui comincia il dramma. Un uomo la cui figlia si è ribellata non è più un uomo. Non è più invitato alle feste nelle quali la comunità si riunisce, non è salutato per strada o ancora peggio è indicato con sguardi ironici e commenti sussurrati. Nessuno lo consulterebbe per un consiglio o un aiuto.

Il mobbing coinvolge tutta la famiglia: la madre da sempre inserita in gruppi di donne che chiacchierano, si dedicano ad attività femminili insieme, all’accudimento dei figli, subisce un isolamento particolarmente grave se lontana dal proprio paese. E quelle chiacchiere, se riguardano una figlia che ha trasgredito, possono rivelarsi velenosissime.

Diversi delitti avvenuti in Italia hanno visto la partecipazione attiva della mamma che difende marito e altri membri maschili della famiglia o addirittura se ne assume la responsabilità. 

È successo così nel caso di Hina Saleem, Sana Cheema e altre donne sconosciute.

Ho assistito da vicino a vicende molto complicate e mai ho visto una soluzione di comprensione e accoglienza per una ragazza o una coppia trasgressiva. La scuola potrebbe intervenire positivamente osservando determinati comportamenti in cui i ragazzi lanciano segnali e attivando percorsi di aiuto e protezione efficaci. 

Mi viene in mente una storia che ho seguito da vicino diversi anni fa!

Grazia Satta
Grazia Satta

Una giovane coppia, entrambi pakistani, aveva da diverso tempo una tenera storia d’amore. Questa volta andrà bene, mi dicevo, sono entrambi pakistani, che problemi ci sono? I problemi erano tanti: erano stati promessi entrambi ad un matrimonio combinato. Mi confidarono il loro dolore e la paura di entrambi raffigurata in modo esplicito da una mimica di sgozzamento di cui dicevano sarebbero stati sicure vittime. La ragazza era molto combattiva e disposta a scappare col compagno con la consapevolezza dell’esclusione dalla famiglia come conseguenza meno pericolosa. Il ragazzo invece era molto timoroso e meno incline a mettersi in gioco e ad accettare un sicuro isolamento affettivo. Si lasciarono.

Incontrai la ragazza dopo diversi mesi, a nozze avvenute col marito deciso dalle famiglie. Le chiesi come stesse e mi rispose che tutto si era risolto e i suoi genitori ora la amavano di nuovo e lei era felice. Stette in silenzio qualche minuto poi scoppiò a piangere e mi disse che nella sua vita niente contava più, che fingeva sempre perché il suo sogno d’amore era stato calpestato da tutti, compreso il suo ex ragazzo che non aveva avuto abbastanza coraggio.

Lei nascondeva sempre agli altri la propria infelicità, ma la famiglia ora poteva camminare testa alta perché tutti avevano aderito ai codici culturali di una società patriarcale.

di Grazie Satta

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